Agrofauna

Miglioramenti Ambientali

Miglioramenti Ambientali a fini faunistici

Da anni il nostro gruppo partecipa alla progettazione alla diffusione e al controllo dei miglioramenti ambientali a fini faunistici. In particolare in Provincia di Pisa collaboriamo con gli Ambiti Territoriali di Caccia n° 14 e n° 15.

I miglioramenti ambientali a fini faunistici sono intesi come interventi sul territorio volti ad incrementare e conservare la consistenza della fauna selvatica (Genghini M., 1994).

L’importanza ecologica dell’ecosistema agricolo è stata in passato non di rado sottovalutata, ritenendo, a torto, questo particolare habitat una sorta di “deserto faunistico”. Di conseguenza, per molto tempo è stata prestata scarsa attenzione alla fauna selvatica caratteristica dell’ambiente agricolo e sono stati sottovalutati i fattori ecologici responsabili delle gravi difficoltà in cui essa attualmente versa (Genghini M., 2004).

I cambiamenti intervenuti nella seconda parte del XX secolo nelle tecniche agricole sono stati i principali responsabili del declino di tutta la fauna selvatica legata all’ecosistema agricolo, in particolare della rarefazione o addirittura dell’estinzione di molte decine di specie di uccelli, emblematico, a tale proposito, il declino della starna. Tuttavia, tali trasformazioni hanno inciso pesantemente anche su molte specie di farfalle, di insetti e di fiori campestri (Bence S., 2000).

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Ne è conseguita una riduzione quanti-qualitativa degli individui e delle specie presenti, infatti si è assistito ad una riduzione della capacità portante degli ambienti, con una riduzione del numero di individui che possono vivervi, ma anche a una riduzione della varietà di specie ed ecotipi. Molte di queste infatti, presentando un range di tolleranza ridotto e particolare, hanno trovato l’ambiente modificato troppo restrittivo a tal punto da dover scegliere altri ambienti più adatti, fino a modificarsi o estinguersi perché incapaci di adattarsi o resistere alla concorrenza intra-specifica. (Odasso et al., 2002;).

Solo recentemente la ricerca scientifica è riuscita a individuare con sufficiente precisione alcuni dei fattori che sono alla base di questi declini. L’ecosistema agricolo fornisce a molti uccelli le risorse alimentari indispensabili: invertebrati per i pulcini, durante la primavera e l’estate; semi di erbe infestanti o di cereali coltivati in autunno ed inverno (Ghigi A., 1994).

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Ebbene, negli ultimi quaranta anni questa offerta alimentare si è ridotta drasticamente a causa, principalmente, dell’introduzione in agricoltura degli insetticidi e degli erbicidi. Tuttavia, mentre gli insetticidi hanno colpito direttamente gli insetti costituenti la dieta dei pulcini, gli erbicidi hanno svolto un’azione negativa più complessa. Questi ultimi, infatti, provocando la scomparsa di talune erbe infestanti, hanno prodotto di riflesso l’eliminazione della principale fonte di alimentazione di quegli insetti fitofagi che costituivano, a loro volta, l’elemento fondamentale della dieta dei pulcini. Senza contare che la rarefazione di queste erbe ha comportato anche la drastica riduzione di quei semi da esse prodotti che erano un componente importante della dieta invernale degli uccelli granivori.

Alcuni diserbanti infine agivano in modo subdolo inducendo, negli animali che si cibavano delle erbe trattate, la deposizione di uova dal guscio fragile, che si rompevano durante la cova (Genghini M., 2004).La situazione è stata resa ancor più grave dal progressivo abbandono di alcune pratiche agricole (colture promiscue, rotazioni, ecc.) come, ad esempio la cosiddetta ‘‘trasemina’, vale a dire la semina di una leguminosa (erba medica, lupinella, trifoglio, ecc.) in associazione con un cereale, generalmente orzo.

La ricerca scientifica ha, infatti, dimostrato come sia stata proprio la progressiva rarefazione di questa coltura, così ricca di insetti, ad aver giocato un ruolo non trascurabile nel declino di specie come la starna, lo zigolo, l’allodola, il fanello, la pispola (Campbell L., 2001).

La distruzione dei luoghi di rifugio e di nidificazione, quali le siepi campestri, i calanchi, i cespugliati, gli incolti, le aree umide ed i piccoli boschi, così come la semplificazione dell’ambiente rurale, la diffusione della monocoltura, l’intensa meccanizzazione e il consistente aumento delle dimensioni degli appezzamenti, hanno contribuito in modo determinante a compromettere le condizioni di vita di questa fauna ed in particolare di alcune specie di uccelli, come la starna (Toderi G., 1991).

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Gli animali selvatici che abitavano in tali ambienti, si sono trovati a fronteggiare una situazione difficile dal punto di vista della sopravvivenza: le zone di rifugio e nidificazione sono andate via via sparendo; le fonti alimentari spontanee e coltivate si sono ridotte e le operazioni colturali meccanizzate hanno determinato improvvisi cambiamenti di habitat provocando mortalità diretta e indiretta della fauna selvatica (Simonetta J., 1994).

Il nuovo impegno gestionale, a seguito della ‘legge 11 febbraio del 1992 n.157’, ha portato alla realizzazione di una rete di interventi di miglioramento ambientale a fini faunistici, che consistono principalmente di colture erbacee destinate all’alimentazione e al rifugio della fauna. In generale, a questo grosso impegno, anche finanziario, non è corrisposto una adeguata valutazione degli effetti sulle popolazioni. In mancanza di ciò, risulta impossibile procedere razionalmente ad un progressivo affinamento degli interventi realizzati, in termini di dislocazione, tipologia, specie erbacee utilizzate e specie target.

Inoltre, risultati stabili dei miglioramenti ambientali si avranno esclusivamente quando questi incidano positivamente non solo sull’alimentazione, fornendo cibo alle specie interessate nei periodi critici di minori disponibilità trofiche nell’ecosistema agricolo, ma soprattutto sulla riproduzione, innalzando il successo riproduttivo. Infatti, solo in questo modo si innalzerà la produttività naturale delle popolazioni, migliorandone lo status di conservazione e la produttività, innalzando al contempo le opportunità di prelievo sostenibile (Lovari S., Rolando A., 2004).

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